Sono quasi 35 anni che Mario Tagliani insegna al Ferrante Aporti di Torino. Non esisteva ancora in Codice di Procedura Penale minorile quando cominciò a muoversi tra i banchi scolastici dell’Ipm. La sua storia, gli incontri, i successi e i fallimenti, le bellezze dei ragazzi e i loro dolori li ha raccontati nel libro “Il maestro dentro”, uscito nel 2014 per Add Editore. Abbiamo conversato con Tagliani nel tentativo di capire più a fondo la sfida dell’istruzione in un carcere minorile. La sua lunga esperienza, seppur sempre nell’Istituto torinese, porta inevitabilmente con sé quei tratti di universalità che ci aiutano a comprendere l’intero sistema, in un aspetto tanto centrale come sempre l’istruzione sa essere.

Mario Tagliani, parto da una domanda molto generale ma sicuramente non generica: secondo lei che ruolo svolge l’istruzione negli Ipm?

Per molti ragazzi i corsi negli Ipm rappresentano l’ultima occasione per andare a scuola. Allo stesso modo, il periodo di reclusione è in molti casi l’ultima occasione che la scuola ha per avvicinarsi a loro. I ragazzi del Ferrante il più delle volte sono reduci da esperienze scolastiche negative, ai loro occhi la scuola è principalmente vista come luogo di punizione. Il primo obiettivo per gli insegnanti degli Ipm è quindi far capire che l’aula scolastica può essere molto altro: un luogo dove si può parlare di tutto, dove si può discutere, ascoltare musica, vedere film o scrivere una lettera a casa. Solo una volta riacquistato un rapporto positivo e di fiducia con la scuola si potrà pian piano arrivare ad insegnare la cultura vera e propria. Anche le attività extra-scolastiche, tra l’altro, sono fondamentali per i ragazzi. Lo sport e il teatro in particolare sono in grado di consentire loro la massima espressione, fisica e mentale.

Quali sono le principali difficoltà legate all’istruzione negli Ipm?

Sono quelle che derivano dal frequente turnover dei ragazzi. All’Ipm di Torino, chi arriva a settembre difficilmente resta fino a giugno per sostenere l’esame di fine anno e solitamente solo i ragazzi iscritti da gennaio in poi arrivano agli esami finali. Di conseguenza si sta valutando la possibilità di istituire degli esami anche nel mese di gennaio, per permettere a un maggior numero di persone di ottenere un diploma. I ragazzi iscritti a scuola nel corso dello scorso anno scolastico (2016/2017) sono stati 37 (20 minori e 17 giovani adulti); fra questi, 12 sono stati preparati all’esame ma solo 5 giovani adulti hanno sostenuto l’esame di licenza media, peraltro superandolo brillantemente.

Di cosa ci sarebbe bisogno per migliorare le condizioni di insegnamento e apprendimento?

Da un punto di vista pratico, le aule del Ferrante Aporti sono insufficienti per permettere a tutti di seguire i corsi scolastici. Al momento le aule propriamente adibite all’insegnamento sono due, più la biblioteca utilizzata come classe da un altro insegnante. Sarebbero necessarie almeno quattro aule. I materiali scolastici sono regolarmente messi a disposizione dall’Istituto e i libri necessari sono forniti dalle scuole. Oltre al miglioramento di alcune carenze strutturali, ciò di cui avrebbe realmente bisogno l’Ipm di Torino, e in generale tutti gli Ipm italiani, è una maggiore presenza di insegnati giovani, sui 25-30 anni, capaci di comprendere meglio le dinamiche dei ragazzi detenuti. Purtroppo l’organizzazione scolastica permette di insegnare in carcere solo a chi ha un certo punteggio, e chi ha un punteggio alto solitamente ha già un’età avanzata, e questo ostacola un ricambio generazionale.

Che ruolo ha il docente che insegna negli Ipm?

Il ruolo dei docenti in Ipm non è limitato esclusivamente all’insegnamento didattico, ma a restituire un’idea diversa di scuola che possa stimolare, in alcuni casi, i ragazzi a proseguire un percorso di studio e formazione al di fuori dell’Istituto. A tal fine, gli insegnanti dovrebbero disporre, oltre che di forte motivazione e sensibilità al sociale, di grande fantasia e creatività, qualità necessarie per superare i tradizionali metodi d’insegnamento e avvicinare al mondo della scuola il maggior numero di ragazzi. Musica, libri e film sono ad esempio strumenti importanti per insegnare in maniera efficace. Non essendo vincolati ai programmi della scuola all’esterno, negli Ipm gli insegnanti godono di un’ampia libertà di insegnamento che, se da una parte consente di spaziare fra metodi e contenuti, dall’altra rischia a volte di creare confusione al docente stesso. Per non smarrirsi, bisogna in primo luogo capire il tipo di ragazzo che si ha di fronte, cercare di ascoltare i suoi bisogni e in base a questi intervenire nel migliore dei modi. Ciò che serve è quindi elasticità mentale, grandi idee e tanta voglia di fare.

Qual è dal suo punto di vista il principale obiettivo per il miglioramento dell’istruzione dei ragazzi detenuti?

La vera sfida per il futuro dell’istruzione in carcere consista nella possibilità di creare un maggiore rapporto fra i ragazzi detenuti e il mondo esterno, consentendo di studiare e intraprendere altre attività formative al di fuori dell’Istituto penitenziario. Questa è la grande scommessa da portare all’attenzione del Ministero di Giustizia.