Il sistema delle comunità di accoglienza per i minori è un sistema complesso, presente in tutto il paese, che si pone tra le altre cose la finalità di offrire sostegno temporaneo ai minori ed alle loro famiglie di origine.
L’inserimento del minore in comunità può avvenire per le più svariate ragioni e può essere consensuale, ed avere natura solo amministrativa, o al contrario, se manca il consenso dei genitori o del tutore, può dipendere da un provvedimento del Tribunale per i minorenni, ma può essere la conseguenza anche di decisioni del giudice civile o di provvedimenti amministrativi d’urgenza.
L’esito dell’insieme di questi percorsi è un sistema di comunità di accoglienza che ospita in media giornalmente circa ventimila ragazzi.

Tra costoro, e con un peso dunque chiaramente residuale, c’è anche un migliaio circa di minori e i giovani adulti che provengono da percorsi penali. Si tratta anzitutto dei ragazzi a cui è stata applicata la misura cautelare di cui all’art. 22 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, il “collocamento in comunità”, direttamente o come aggravamento di una misura meno contenitiva. In secondo luogo l’ingresso in una comunità può avvenire a seguito dell’adesione a un progetto di messa alla prova che preveda tale specifica prescrizione o per l’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione.
Esistono infine alcune comunità che vengono gestite direttamente dal Ministero della giustizia, e in esse i minori possono essere collocati esclusivamente a seguito dell’emissione di un provvedimento di natura penale.

Le comunità gestite direttamente dal Ministero della giustizia sono in tutto tre, si trovano a Bologna, a Catanzaro e a Reggio Calabria, ed al 15 gennaio 2020 ospitavano 20 tra minori e giovani adulti. In passato erano molte di più, ma dal 2009 ad oggi ben 9 comunità ministeriali hanno sospeso o cessato la propria attività.
In sistema delle comunità private, costituito da centinaia di strutture, ospitava nel suo complesso a metà gennaio 2020, 1.104 ragazzi provenienti dall’area penale. Il grafico che segue mostra l’andamento di queste presenze negli ultimi 12 anni.


Come si vede la presenza media giornaliera è praticamente raddoppiata in questo intervallo di tempo, grazie soprattutto al crescente numero di inserimenti di ragazzi italiani, e questi numeri hanno fatto delle comunità un asse portante del sistema della giustizia minorile nel nostro paese tanto che, come detto altrove, oggi la maggior parte dei ragazzi che entra in IPM ci arriva dopo un passaggio dalle comunità mentre chi dagli IPM esce è indirizzato, per quasi il 50%, verso queste stesse comunità.
Se a questo si aggiunge che i tempi di permanenza medi in IPM sono di circa tre mesi, mentre in comunità i ragazzi provenienti dal circuito penale si fermano in media poco più di sei mesi, si capisce la rilevanza che questo strumento oggi ha nei percorsi dei ragazzi in carico al sistema della giustizia minorile.
Un limite oggettivo di questo sistema è però la sua notevole disomogeneità a livello territoriale. La mappa qui sotto mostra le presenze nelle comunità pubbliche e private al 15 gennaio 2020 in ciascuna regione ma mette anche in relazione, sempre in ciascuna regione, il rapporto tra la presenza media nelle comunità nel corso del 2019 ed il numero dei ragazzi in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni.


Le disparità sono sorprendenti. In Lombardia per ogni 100 ragazzi in carico all’USSM ci sono 25 ragazzi in comunità. In Campania questo rapporto è di 15 su 100. Ma in Abruzzo o in Calabria siamo intorno ai 5 ragazzi su 100 e in regioni come Basilicata, il Friuli-Venezia Giulia o il Trentino-Alto Adige questo indice è ancora più basso. La media nazionale è di circa 8 ragazzi in comunità per ogni 100 ragazzi in carico agli USSM.

Come dicevamo i motivi per cui può avvenire il collocamento in comunità per i minori e i giovani adulti del circuito penale possono essere diversi, e sono indicati nel grafico che segue.


Come si vede la maggioranza dei ragazzi entra in comunità in misura cautelare. Un gruppo più ristretto entra in comunità provenendo dagli IPM, dove era detenuto sempre in misura cautelare. Peraltro non pochi, oltre il 10%, torna in comunità dopo essere stato in IPM a seguito di “aggravamento” della misura cautelare in comunità. Recita l’art. 22 DPR n. 448 del 22 settembre 1988: “Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato dalla comunità, il giudice può disporre la misura della custodia cautelare, per un tempo non superiore a un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”.
Circa il 20% del totale dei ragazzi che entra in comunità lo fa nell’ambito di un progetto di messa alla prova.

Quanto all’età dei ragazzi collocati in comunità, il dato che più sorprende è che tra costoro ci sono ragazzi di età inferiore ai 14 anni.


In Italia il minore di anni 14 non è mai imputabile penalmente, dunque non ci si aspetterebbe di trovarlo conteggiato tra i presenti in comunità nel novero di quanti vi provengono dal circuito penale. Tuttavia se il minore di anni 14 commette un fatto previsto dalla legge come reato, ed è socialmente pericoloso, il giudice può ordinare “che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata” (art. 224 Codice penale). La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario è oggi eseguita nelle forme del collocamento in comunità (art. 36 del DPR n. 448 del 22 settembre 1988). La cosa avviene però assai di rado, e non può essere questa la spiegazione della presenza in comunità di ragazzi con meno di 14 anni. Anche perchè, nel periodo considerato, i minori di 14 sono solo ragazze non italiane, mentre nello stesso anno, tra quanti sono entrati in comunità in misura di sicurezza, non c’erano ragazze. Si tratta dunque più verosimilmente di misure d’urgenza a tutela delle minori stesse.
In generale, l’età media dei ragazzi collocati in comunità è comunque molto più bassa di quella dei ragazzi detenuti in IPM. Tra costoro quelli che hanno 16 o 17 anni sono il 70%. Tra i presenti in IPM sono solo il 35,2%. I ragazzi più grandi lì sono oltre il 50%, mentre in comunità solo il 21,6%.

Uno sguardo infine ai delitti a carico delle persone collocate in comunità.


In questo caso i reati contro la persona sono intorno al 20%, contro il 17% registrato in IPM, mentre quelli contro la proprietà sono il 54,5%, contro il 62% in IPM.

Messa alla prova

Come abbiamo visto sopra circa il 20% del totale dei ragazzi che entra in comunità lo fa nell’ambito di un progetto di messa alla prova. Ma la messa alla prova chiaramente non si svolge solo in comunità. Solo nel primo semestre del 2019 sono stati 2.382 i provvedimenti di messa alla prova ex art.28 D.P.R.448/88, 3.653 in tutto il 2018.


La messa alla prova rappresenta l’istituto probabilmente di maggior interesse per quanto riguarda il sistema della giustizia minorile, ed esteso recentemente anche agli adulti sta avendo un impatto significativo anche in quel contesto. L’istituto non rappresenta solo una alternativa al carcere, ma allo stesso processo, che viene sospeso durante la messa alla prova. Se la misura avrà buon esito, alla sua conclusione il reato verrà dichiarato estinto. Come si vede sopra si tratta di un istituto ormai ampiamente rodato ma anche in espansione.
Come abbiamo detto solo una parte dei ragazzi in messa alla prova entra in comunità. Il grafico sotto mostra le prescrizioni contenute nei provvedimenti di messa alla prova, indicative di cosa fanno i ragazzi durante le misure.


Come si vede in quasi tutti i casi le prescrizioni prevedono “attività di volontariato e socialmente utili”, mentre solo la metà prevedono “attività di studio”. Sono circa un quarto i ragazzi inviati in comunità.

La maggior parte delle misure, il 60%, ha una durata compresa tra sette e dodici mesi, mentre il 33% hanno una durata compresa tra uno e sei mesi. Quelle che durano oltre l’anno sono residuali.

Come si vede sotto, tra i beneficiari della messa alla prova gli stranieri sono decisamente sottorappresentati, il 18,3% in tutto, mentre tra i minori in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni sono il 24,7%.


Quanto all’esito delle misure, il bilancio è ampiamente positivo. I dati più recenti di cui disponiamo sono relativi al 2018, ma sono decisamente confortanti: gli esiti delle misure sono stati positivi nell’82,8% dei casi.




Febbraio 2020