Uno sguardo ai dati più recenti relativi agli Istituti penali per minorenni conferma le tendenze consolidate da tempo. Resta elevata la percentuale degli stranieri, quasi la metà, ed il dato continua a destare allarme specialmente se si pensa che gli stranieri sono solo un quarto del totale dei ragazzi in carico agli Uffici di servizio sociale minorenni. Per costoro il passaggio in IPM dunque è decisamente più probabile.

La detenzione resta comunque una misura estrema ed il numero delle presenze è attualmente in calo. Mentre uno sguardo attento ai dati mostra come, quanto meno per i ragazzi che passano dagli IPM, al centro del sistema della giustizia minorile ci siano oggi le Comunità di accoglienza.

Le presenze negli IPM

La mappa che segue riproduce il quadro complessivo degli Istituti penali per i minorenni al 15 gennaio 2020. I 375 minori e giovani adulti detenuti in quella data erano dunque distribuiti in 17 istituti, da Caltanissetta a Treviso, in strutture con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro. Quello con più presenze era Nisida, che ospitava 45 detenuti, mentre alla stessa data a Caltanissetta ce n’erano solo 3. In tutta Italia quel giorno erano detenute 23 ragazze, 12 delle quali a Pontremoli, nell’unico Istituto penale per minorenni esclusivamente femminile d’Italia.


Più avanti cercheremo di far vedere alcune delle caratteristiche della popolazione detenuta nei nostri IPM. Il grafico che segue mostra intanto come il numero delle presenze sia cambiato in questi anni.


La prima cosa che colpisce è che la curva delle presenze totali, in apparenza instabile, a guardar meglio si è mossa all’interno di un intervallo tutto sommato ristretto. Raramente le presenze sono scese sotto le 400 unità, e dunque il dato attuale è un dato quasi eccezionale, e raramente sono salite sopra le 500. L’altra cosa che il grafico evidenzia è un calo significativo delle presenze intorno al 2014, dovuto soprattutto al calo delle presenze di ragazzi detenuti stranieri.
Proprio nel 2014 a questo calo delle presenze si è risposto con la legge 117 dell’11.08.2014, che ha portato da 21 a 25 anni il limite massimo per la permanenza nel circuito penale minorile per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni. Si è dunque pensato, a seguito del calo delle presenze, di allargare le tutele che il sistema della giustizia minorile offre agli autori di reato ad una platea più ampia di giovani. A seguito di questo cambiamento, per molti aspetti significativo, i numeri complessivi del sistema degli IPM sono tornati a crescere, ma per un breve periodo e sempre in maniera contenuta, mentre nell’ultimo anno le presenze sono addirittura calate.

Caratteristiche della popolazione detenuta

Il primo dato che tradizionalmente si prende in considerazione quando si osservano le carceri per gli adulti è quello della posizione giuridica delle persone detenute. Sono lì in custodia cautelare o stanno scontando una pena? Hanno una condanna definitiva o la loro posizione potrebbe ancora mutare? Nelle carceri minorili questo aspetto non è subito facile da capire. Come si vede nel grafico presentato sotto la maggior parte delle persone detenute in IPM ha una posizione giuridica “mista”.


Alcuni hanno avuto una condanna definitiva, ma la loro posizione giuridica non è comunque ancora definita a causa di altri procedimenti pendenti, mentre altri hanno diversi procedimenti pendenti, ma non ci sono sentenze definitive. Il quadro è senza dubbio confuso, e la causa verosimilmente è duplice.
Da un lato, come vedremo meglio, il ricorso al carcere nel sistema delle giustizia minorile è effettivamente misura estrema. Questo significa che i minori detenuti spesso non sono al loro primo reato ma, vista la giovane età, è altrettanto verosimile che per i reati precedenti la loro posizione giuridica non sia ancora definita.
L’altra ragione, anche questa che caratterizza in modo significativo il sistema della detenzione minorile, è che la permanenza dei ragazzi in IPM è generalmente breve, in media 102 giorni nel 2019, poco più di tre mesi.
Il dato sorprende soprattutto se si pensa che gli IPM non sono il luogo dove viene condotto il ragazzo subito dopo l’arresto, che dovrebbe andare invece nel Centro di Prima Accoglienza (CPA) proprio per evitare l’ingresso in carcere ove non necessario. E questo in effetti, come vedremo meglio sotto, generalmente accade, ma non per questo l’IPM diventa poi un luogo di soggiorni prolungati. Al contrario nel sistema della giustizia minorile l’esperienza della detenzione è generalmente una tappa di un percorso più lungo, che si svolge soprattutto altrove.
Nel corso del 2019 il 72% dei ragazzi entrati in IPM, dunque una larghissima maggioranza, era in custodia cautelare. Il grafico sotto illustra la composizione di questo numero maggioritario di ingressi.


Come si vede c’è comunque una significativa percentuale di ingressi dalla libertà, ma come dicevamo è significativa anche la quota di persone che arrivano dai centri di prima accoglienza. Sorprendente però è come la maggior parte dei ragazzi arrivino, per trasformazione o per aggravamento della misura, dal sistema delle Comunità, un sistema che come si vedrà meglio rappresenta uno snodo portante del sistema della giustizia minorile nel nostro paese.
Il grafico sotto illustra altri dati essenziali relativi ai ragazzi detenuti nei nostri IPM, sempre riferiti alla data del 15 gennaio 2020.


Come si vede dall’ultima colonna, sul totale dei 375 minori e giovani adulti detenuti in IPM in quella data, il 57,1% erano italiani, il 42,9% stranieri, il 93,9% maschi ed il 6,1% femmine (ma tra le ragazze le straniere erano il 47,8%). Queste caratteristiche, come si vede, variano in maniera contenuta nelle varie classi di età, mentre è la distribuzione dei presenti tra le varie classi di età che cambia significativamente.


I giovanissimi sono molto pochi, e tutto sommato sono pochi anche i ragazzi più grandi, quelli la cui presenza è stata resa possibile dalla legge 117 del 2014, ed è questo il motivo per cui la novità legislativa non ha inciso in maniera poi così significativa sul numero totale delle presenze. Resta maggioritario il gruppo dei ragazzi che hanno 18, 19 o 20 anni, ma sono molti anche quelli che hanno 16 o 17 anni. In media gli stranieri appaiono leggermente più giovani degli italiani.
Come abbiamo detto più volte il carcere è misura estrema nel sistema della giustizia minorile, uno strumento che si cerca di usare il meno possibile. Ci si immagina dunque che sia riservato agli autori dei reati più gravi. Il grafico che segue sembra dire l’esatto contrario. I reati contro la persona, quelli generalmente più gravi, riguardano solo il 17% di quanti entrano in IPM.


Il dato è sorprendente, dato che effettivamente sarebbe apparso prevedibile il contrario. Ma lo è ancora di più se si pensa che la percentuale di quanti sono detenuti per i fatti più gravi in IPM è, come si vede sotto, addirittura inferiori a quella del complesso dei ragazzi in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni.


Non sono dunque gli autori dei fatti più gravi che finiscono in IPM ma, verosimilmente, quelli per i quali la misura della detenzione in carcere si rende necessaria nel corso della presa in carico da parte del sistema, o quelli per i quali non si riescono a costruire alternative. L’IPM dunque non come sanzione proporzionata alla gravità del fatto commesso, sempre uguale per tutti, come in molta parte ancora accade per il carcere gli adulti, ma al contrario come strumento da usare con estrema cautela nel percorso trattamentale di ciascun ragazzo, da valutare attentamente caso per caso, eventualmente, come ci mostravano i dati sugli ingressi, dopo aver tentato altre strade, ed in particolare la Comunità.
Tutto questo chiaramente funziona meno per i ragazzi più marginali, quelli con meno risorse sociali e relazionali, per i quali i percorsi di inclusione sono più difficili, e che più spesso e più a lungo si trovano in IPM, ma anche nel complesso resta evidente lo sforzo di minimizzare il ricorso al carcere e di porre al centro le Comunità.
Questo ragionamento appare ancora più convincente se si guarda ai dati relativi alle uscite dagli IPM, presentati nel grafico sotto.
Come si vede, se la maggior parte dei ragazzi entra in IPM proveniente dalle Comunità di accoglienza, è sempre verso le Comunità che è diretta quasi la metà delle persone che escono.


Solo il 10,3% dei ragazzi che escono dagli IPM ha finito di scontare li la propria pena, mentre l’11’8% esce per essere trasferito verso strutture per adulti. È tutto sommato limitato il ricorso alle misure alternative in uscita dal carcere, mentre sorprende la percentuale di ragazze che esce dagli IPM per differimento dell’esecuzione della pena, differimento connesso alla gravidanza o alla maternità.
Ma il dato più interessante resta quello relativo alle Comunità. Come abbiamo visto la maggior parte dei ragazzi che entra in IPM viene da lì, e quasi la metà è verso le Comunità che viene indirizzata dopo l’esperienza della detenzione.
Sulle Comunità per minori torneremo altrove, ma è chiaro già da qui come si tratti di un tassello essenziale del sistema della giustizia penale minorile nel nostro paese. Se al 15 gennaio 2020 i ragazzi in IPM erano 375, nello stesso giorno i ragazzi in Comunità erano 1.104.

È dunque chiaro che se si vuole comprendere come abbia fatto il sistema della giustizia minorile a rendere così eccezionale il ricorso alla detenzione, è probabilmente proprio alle Comunità di accoglienza che bisogna guardare.




Febbraio 2020