L’arresto, la messa alla prova e la fuga dalla comunità

Liz (nome di fantasia) è una ragazza dominicana arrivata in Italia da minorenne con un carico di droga. È stata tratta in arresto all’aeroporto di Malpensa nel 2013 per spaccio internazionale di stupefacenti, reato consumato mentre era minorenne. Dal processo è emerso che la ragazza è stata indotta a commettere il reato dalla madre e da altri familiari, come molto spesso accade nelle vicende di spaccio internazionale che coinvolgono minori. Nel suo paese di origine Liz ha sempre vissuto con i nonni perché il padre è morto e la madre vive in Italia da quando lei aveva pochi mesi. Liz sogna di riunirsi alla madre e viene convinta, mentre è ancora minorenne, a trasportare quel carico di droga per potersi pagare il viaggio in Italia e ricongiungersi con la madre.Il Tribunale di Milano, dopo 5 mesi e 18 giorni di custodia cautelare presso l’istituto minorile di Pontremoli, decide di darle un’occasione e Liz ottiene la sospensione del processo e la messa alla prova per 1 anno e 8 mesi. Liz per 9 mesi segue il programma di integrazione disposto dai giudici. Accolta in una casa di accoglienza, inizia ad imparare l’italiano e a lavorare. Vuole però ricongiungersi alla madre, ricucire il rapporto con quella donna che ha visto pochissime volte nella sua vita, e così decide di scappare dalla comunità dove è ospitata.  Il Tribunale per i minorenni di Milano ordina quindi la revoca della messa alla prova, e la condanna alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione della minore diventa definitiva.

La detenzione e l’emancipazione a Nisida

Liz viene tratta in arresto nell’agosto del 2016, nei pressi dell’abitazione della madre, e condotta presso l’istituto minorile di Nisida, un’isola dell’arcipelago delle Flegree, dove sono detenuti circa 50 minori, tra ragazzi e ragazze. All’inizio è diffidente e convinta che anche questa volta, come la prima, riuscirà a tornare in libertà in poco tempo. Poi capisce che adesso la detenzione sarà più lunga e un senso di frustrazione e di vuoto la assale. Con il passare del tempo riesce finalmente ad avere fiducia negli educatori e negli psicologi ed inizia a frequentare corsi di formazione e a svolgere piccoli lavori all’interno dell’istituto minorile. Il percorso va così bene che il magistrato di sorveglianza, la dott.ssa Ornella Riccio, decide nell’aprile 2018 di segnalare Liz ai servizi sociali, in modo da individuare una comunità di accoglienza che la ospiti per farle scontare il resto della pena in misura alternativa. Purtroppo i tempi si allungano e il posto non si trova, come spesso accade anche per i minori in fase esecutiva, e Liz sconterà per intero la sua pena nell’istituto minorile fino al 21 marzo 2019.

L’espulsione e l’accompagnamento coatto alla frontiera a fine pena

A fine pena era scontata l’espulsione dal territorio nazionale di Liz: colpevole di aver eseguito un reato per ordine della madre e non aver trovato una rete che le consentisse, anche da libera, di proseguire il programma di integrazione intrapreso in carcere. In Italia infatti i maggiorenni ed i minorenni stranieri che hanno scontato una pena sono destinatari nella quasi totalità dei casi, al momento della liberazione dal carcere, di un provvedimento di espulsione disposto dal giudice (come misura di sicurezza o come misura alternativa) o dal prefetto (come misura amministrativa conseguente alla mancanza o revoca di un permesso di soggiorno). Nel caso di Liz l’espulsione dal territorio nazionale sembrava una misura scontata, proprio perché la ragazza aveva commesso un reato ostativo al rilascio di un permesso di soggiorno ed era già stata destinataria di un provvedimento di espulsione emesso dalla Prefettura. Espulsione non ancora eseguita in quanto la minore doveva scontare una pena. Nel febbraio 2019 il giudice di pace di Napoli aveva intanto convalidato l’accompagnamento coatto alla frontiera della minore all’indomani della sua liberazione dall’istituto penale minorile.

La svolta: la visita dei giudizi costituzionali a Nisida

Il 4 ottobre 2018, sette giudici della Corte Costituzionale visitano sette istituti penitenziari italiani. Per la prima volta dalla sua nascita, la Consulta visita istituti di pena, per dialogare con chi è recluso e con chi vi lavora dietro le sbarre. Tra le carceri prescelte per questo viaggio c’è quella di Nisida. Ed è il giudice Giuliano Amato, il 19 ottobre 2018, a recarsi sull’isola. 
Liz comprende di avere una grande opportunità (poi immortalata dalle immagini di un documentario realizzato dalla Rai, che ha accompagnato con una troupe il viaggio nelle carceri dei giudici costituzionali). E quando il giudice costituzionale Amato è davanti a lei, dice: «Non mi sembra giusto che uno straniero, che ha fatto un percorso in carcere e vuole integrarsi nella società, venga espulso. Lei che ne pensa?». Poi, durante il pranzo, si siede accanto al magistrato e gli racconta la sua storia.

Da qui in poi i risultati sono il frutto della collaborazione competente di vari attori: Marco Ruotolo, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Roma Tre, segnala la situazione alla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild), che attiva il suo team legale e si avvale dell’esperienza di alcuni suoi membri (Antigone e Asgi) per la soluzione giuridica del caso. Grazie all’intervento degli operatori di Dedalus,  allo sguardo intelligente del direttore del carcere Gianluca Guida e del magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, all’aiuto della Questura, è stato possibile applicare una norma troppo spesso dimenticata: l’articolo 18 comma 6 del Testo Unico sull’Immigrazione. Essa prevede il rilascio del permesso di soggiorno alla fine della pena a chi ha compiuto il reato da minorenne e ha seguito un programma di risocializzazione con un’associazione accreditata durante l’esecuzione della pena stessa.

L’art.18 comma 6 recita testualmente: «Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì rilasciato, all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena, anche su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale dei minori, allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva, inflitta per i reati commessi durante la minore età e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale».

Tale norma prevede l’attivazione di un programma di protezione e  il rilascio (su iniziativa del procuratore, del magistrato di sorveglianza del tribunale dei minori, dei servizi sociali competenti o di una associazione accreditata) di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (valido 6 mesi, rinnovabile per un ulteriore anno e convertibile in motivi di lavoro o studio) a favore delle persone straniere (maggiorenni o minorenni) che durante la minore età hanno commesso un reato punito con pena detentiva e per il quale sono state condannate (eventualmente anche con sospensione) a una detenzione, a una pena alternativa o sostitutiva ovvero a una messa in prova, e che hanno intrapreso positivamente un “programma di assistenza e integrazione sociale” sostenuto dai servizi sociali competenti o da una associazione accreditata.

Uno strumento importante che, dopo il caso di Liz, è stato applicato altre due volte, sempre a Napoli, e che consente al minore autore del reato (e vittima, allo stesso tempo, poiché caduto nell’illecito per eterodirezione di adulti) di riscattarsi e proseguire in libertà il reinserimento già intrapreso durante l’esecuzione della pena. Evitando l’espulsione. Proprio come è avvenuto per Liz.

Liz e la libertà

La storia di Liz ha dunque un lieto finale. Oggi la ragazza vive in una casa di accoglienza della storica cooperativa sociale napoletana Dedalus, impegnata a fornire assistenza e accoglienza alle vittime di tratta e a soggetti vulnerabili. Ha un lavoro e sogna che anche le sue ex compagne di cella possano avere la stessa fortuna che ha avuto lei. Tutto questo grazie a un lavoro di squadra e di collaborazione tra attori istituzionali e terzo settore.

Subito dopo la visita dei giudici della Corte Costituzionale, il direttore del carcere ha di fatto favorito la presa in carico della ragazza da parte della cooperativa sociale Dedalus, presente nell’IPM di Nisida con uno sportello di orientamento sociale e legale, e il magistrato di sorveglianza ha proposto alla questura di Napoli di rilasciare un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione. Avvenuta la presa in carico da parte della Dedalus e ottenuta la proposta di permesso da parte del magistrato di sorveglianza, si è entrati in contatto con la questura di Napoli per chiedere in autotutela di revocare l’espulsione e l’accompagnamento coatto, in quanto era in atto un programma di integrazione sociale e per sollecitare l’effettivo rilascio di un permesso di soggiorno alla ragazza. La questura si è impegnata a non eseguire l’espulsione e a rilasciare il permesso richiesto. A fine pena, il 21 marzo 2019, Liz è stata quindi condotta presso una casa di accoglienza della Dedalus per proseguire il progetto di integrazione ed è ora libera e regolare sul territorio italiano.

Ci auguriamo che altri magistrati di sorveglianza, direttori di istituti penali minorili, uffici immigrazione delle questure, enti accreditati per la tutela delle vittime di tratta seguano l’esempio napoletano per consentire a chi commette reati da minorenne di avere un’occasione di integrazione dopo aver concluso la pena.



Febbraio 2020