Dal Dipartimento per la Giustizia Minorile dipendono i Centri per la Giustizia Minorile (CGM – organi del decentramento amministrativo istituiti dall’art. 7 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.272 “Norme di attuazione e coordinamento del D.P.R. 448/88) che hanno prevalentemente competenza regionale. Ognuno di questi Centri opera sul territorio attraverso i Servizi Minorili della Giustizia (previsti dall’articolo 8 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272). I Centri esercitano funzioni di programmazione tecnica ed economica, controllo e verifica nei confronti dei Servizi minorili da essi dipendenti quali gli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni, gli Istituti penali per i minorenni, i Centri di Prima Accoglienza, le Comunità.
L’attivazione di tutti gli interventi destinati al minore di informazione, di conoscenza, di sostegno, di controllo, di raccordo operativo è affidata ai Servizi Minorili della Giustizia. I Servizi della Giustizia Minorile (CPA, USMM, IPM, COMUNITA’, CENTRI DIURNI) sono pensati con lo scopo di attuare interventi che abbiano come fine ultimo il recupero del minore “entrato in conflitto” con la Giustizia, attraverso la determinazione di percorsi educativi o socio-riabilitativi. Tali percorsi sono appunto orientati a supportare il minore nella ri-costruzione di una propria dimensione individuale e ad offrirgli la possibilità di sperimentarsi ed esprimersi, con l’obiettivo di determinare una presa di coscienza in merito al reato a lui ascritto ed una revisione critica di quanto commesso.
Sono strutture che accolgono e ospitano temporaneamente il minore in stato di arresto o fermo fino all’udienza di convalida, che deve necessariamente aver luogo entro 96 ore dall’arresto o dal fermo. La principale finalità di queste strutture è quella di evitare il forte impatto con il carcere. Infatti, secondo quanto previsto dall’art.9 D.Lgs. n.272, 1989 i CPA “devono assicurare la permanenza dei minorenni senza caratterizzarsi come strutture di tipo carcerario e sono istituiti, ove possibile, presso gli uffici giudiziari minorili. In nessun caso possono essere situati all’interno di istituti penitenziari”. Gli scopi fondamentali dei CPA sono:
• accogliere il minore e garantirne la permanenza fino all’udienza di convalida;
• svolgere attività di mediazione tra le esigenze penali e quelle educative del minore;
• fornire all’autorità giudiziaria le prime informazioni conoscitive generali sul minore;
• dare le prime indicazioni su una possibile ipotesi intervento.
Tra le figure professionali che operano all’interno del Servizio vi sono: assistenti sociali, psicologi, polizia penitenziaria e professionalità pedagogiche.
Sono strutture volte ad assicurare l’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria quali la custodia cautelare o l’espiazione di pena dei minorenni autori di reato. Gli I.P.M. ospitano minorenni o giovani adulti (18-24 anni). Tali strutture hanno un’organizzazione funzionale ad un’azione educativa sempre più integrata con gli altri Servizi della Giustizia Minorile e del territorio. Al loro interno possono essere presenti sezioni maschili e femminili, che devono essere organizzate in modo tale da garantire il rispetto di pari opportunità e trattamento tenendo conto, tuttavia, delle peculiarità di genere. In accordo con la normativa vigente e al fine di attivare processi maturazione dei minorenni e di promuovere l’azione rieducativa ed il reinserimento sociale, vengono organizzate dagli Istituti attività scolastiche, di formazione professionale, di animazione culturale, sportiva, ricreativa e teatrale, che si concretizzano tramite collaborazioni con la comunità esterna. Al fine di concretizzare i principi sopracitati gli IPM si servono di una pluralità di figure professionali (educatori, polizia penitenziaria, ecc.).
Gli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) forniscono assistenza ai minorenni autori di reato in ogni stato e grado del procedimento penale e predispongono la raccolta di elementi conoscitivi concernenti tali minorenni per l’accertamento della personalità, su richiesta del Pubblico Ministero, fornendo concrete ipotesi progettuali e concorrendo alle decisioni dell’Autorità Giudiziaria Minorile. Questi uffici si attivano nel momento in cui, a seguito di denuncia, un minore entra nel circuito penale ed accompagnano il ragazzo in tutto il suo percorso penale, dall’inizio alla fine. Avviano l’intervento in tempo reale per il minore in stato di arresto e di fermo, seguono il progetto educativo del minore in misura cautelare non detentiva, gestiscono la misura della sospensione del processo e della messa alla prova e, complessivamente, svolgono attività di sostegno e controllo nella fase di attuazione delle misure cautelari, alternative e sostitutive concesse ai minori, in accordo con gli altri Servizi Minorili della Giustizia e degli Enti locali. All’interno del servizio operano diverse professionalità tra cui assistenti sociali, educatori e psicologi che lavorando in équipe garantiscono un approccio multi professionale al “trattamento” del minore.
Un importante ruolo dell’USSM si realizza durante la fase di Sospensione del processo e Messa alla prova: la procedura per la messa alla prova, infatti, ha inizio con la richiesta da parte del giudice all’USSM di un progetto educativo destinato al minore; segue una valutazione periodica della personalità dei reo e successivamente, con una nuova udienza, il giudice può giungere alla decisione di dichiarare l’estinzione del reato (nel caso in cui la prova dia esito positivo) oppure può provvedere alla prosecuzione del processo penale (esito negativo della prova).
Nelle Comunità si assicura l’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria nei confronti di minorenni autori di reato, ai sensi degli artt. 18, 18-bis, 22, 36 e 37 del D.P.R. 448/88.
Gli obiettivi fondamentali del collocamento presso le Comunità sono:
• stabilire un programma educativo destinato al minore che tenga presente tanto delle sue esigenze quanto delle sue risorse personali, familiari e sociali,
• favorire la responsabilizzazione e la consapevolezza del minore rispetto alla misura restrittiva della libertà personale,
• individuare e valorizzare le risorse del minore,
• offrire al giudice informazioni che contribuiscano ad una scelta conforme il più possibile alle esigenze educative del ragazzo,
• preparare le dimissioni del minore dalla Comunità e curarne l’eventuale invio ad altre strutture,
• restituire il minore al suo contesto sociale.
Secondo quando affermato nel D.Lgs 272, 1989 le Comunità devono rispettare tre criteri fondamentali relativi alla gestione:
• organizzazione di tipo familiare, che preveda anche la presenza di minorenni non sottoposti a procedimento penale (con capienza di massimo dieci unità, limite che facilita e garantisce una conduzione e un clima educativamente significativi);
• presenza di operatori professionali specializzati in diverse discipline (assistenti sociali, mediatori culturali, ecc.), che accompagnano e sostengono il minore durante il proprio percorso;
• collaborazione di tutte le istituzioni interessate e utilizzo delle risorse del territorio.
L’ingresso del minore in comunità è obbligatoriamente accompagnato da una documentazione che attesta la sua precedente esperienza al fine di garantire una certa continuità del percorso all’interno del circuito penale. L’inserimento del ragazzo è seguito dalla definizione di un “Progetto Educativo Individualizzato” (P.E.I.): si tratta di un piano educativo che viene stilato prestando attenzione alla personalità del minore e alla valorizzazione dei processi di responsabilizzazione e risocializzazione del ragazzo, nonché nel rispetto della garanzia dei suoi diritti ed esigenze educative. Il progetto, elaborato dopo un’attenta osservazione del minore nella sua globalità, dovrà indicare:
• gli obiettivi che il minore deve raggiungere,
• le attività che dovrà svolgere,
• le indicazioni sulle modalità di svolgimento delle attività,
• le modalità di verifica, utili all’Autorità giudiziaria.
Centri Diurni
Sono strutture non residenziali che offrono attività dirette ai minori entrati nel circuito penale e di accoglienza di minori devianti o a rischio di disagio sociale non sottoposti a procedimento penale. Sono destinati all’esecuzione delle misure cautelari di prescrizioni e permanenza in casa, delle misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà, delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata (per precisazioni su questi istituti si veda la parte quarta). I servizi diurni hanno finalità educative, di studio, di formazione-lavoro, di tempo libero e di animazione, attraverso programmi mirati individuali. Sono organizzati e gestiti dai Centri per la Giustizia minorile in collaborazione con gli enti locali e vi lavorano operatori professionali delle diverse discipline. Vi possono accedere anche minori non sottoposti a procedimenti penali. Annessi alle Comunità Ministeriali, ne condividono il personale e la Direzione. All’interno dei Centri Diurni si svolgono attività legate all’esecuzione di misure alternative e sostitutive alla detenzione: laboratori di formazione professionale, attività ricreative e sportive, programmi di studio, di formazione al lavoro e di tipo educativo.
Se non risulta necessario fare ricorso ad altre misure cautelari, il giudice può impartire al minore specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione, le quali perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento con il quale sono state impartite. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni, il giudice può, invece, disporre la misura cautelare della permanenza in casa.
Con il provvedimento che dispone la permanenza in casa il giudice prescrive al minore di rimanere presso l’abitazione familiare o altro luogo di privata dimora, potendo anche imporre limiti o divieti di comunicazione con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. Con la misura della permanenza in casa, tuttavia, il giudice può anche, con separato provvedimento, consentire al minore di allontanarsi dall’abitazione per esigenze legate alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. Nel caso dell’applicazione di tale misura cautelare i genitori o coloro nella cui abitazione è disposta la permanenza vigilano sul suo comportamento. Nel caso di gravi e ripetute violazioni degli obblighi imposti o nel caso di allontanamento ingiustificato dall’abitazione, il giudice può disporre la misura del collocamento in comunità.
Con il provvedimento che dispone tale misura il giudice ordina che il minorenne sia affidato a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle suddette prescrizioni o di allontanamento ingiustificato dalla comunità, il giudice può disporre la misura della custodia cautelare, per un tempo non superiore a un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
Tale misura cautelare, che consiste nella custodia in IPM, può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni e, anche fuori dai casi suddetti, quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 380 comma 2 lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale. Il giudice può disporre la custodia cautelare: a) se sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in relazione a situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova; b) se l’imputato si e’ dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga; c) se, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, vi è il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per cui si procede.
Se per il reato commesso dal minore la legge prevede una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a 5 euro, l’art. 169 c.p. consente al giudice di astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.