I’m not saying I’m gonna change the world,
but I guarantee that I will spark the brain that will change the world.

Non sto dicendo che cambierò il mondo, 
ma garantisco che accenderò il cervello che cambierà il mondo.

(2Pac, tratto dal documentario “Tupac: Resurrection” di Lauren Lazin, 2003).

Introduzione 

Il rap fa parte di un movimento culturale più grande chiamato “Hip Hop”, nato presso la comunità afroamericana e latino americana di New York nei primi anni Settanta, come un riadattamento americano del DJ style, un genere di reggae giamaicano diffusosi grazie alla figura di Kool Herc, principale precursore di questo genere. Nei party del Bronx i soundsystem diffondevano i ritmi da breaks ripetuti dai giradischi, mentre i primi rappers si sfidavano a colpi di rime per intrattenere il pubblico.

L’Hip Hop quindi si compone di quattro discipline: il rap o MCing (da MC, maestro di cerimonia, colui che recita rime sul tempo); il DJing, dove il DJ, artefice dello scratch, accompagna l’MC con l’impiego del giradischi come strumento musicale; il Breaking, stile di ballo denominato anche breakdance ed infine il Writing o aerosol art, i cosiddetti graffiti murali. 

In Italia, sebbene presente fin dagli anni Novanta con i primi gruppi del periodo “Posse” (quali Assalti Frontali, 99 Posse), attivisti nel campo politico-sociale e di rivendicazione di diritti nell’ambito dei centri sociali, è nel decennio successivo che si registra una prima diffusione ed è solo recentemente che ha raggiunto una dimensione di massa nelle sue declinazioni, a differenza degli Stati Uniti ma anche di altre nazioni europee come Germania, Francia, Inghilterra in cui il rap era già un fenomeno consolidato. 

Dalla metà degli anni 2000 – con l’exploit di artisti come Fabri Fibra, Club Dogo, Inoki – il rap italiano inizia a riscuotere una notevole crescita commerciale, oltre che a rappresentare l’espressione della cultura giovanile.

Oggi è sufficiente guardarsi intorno per capire che il rap è ovunque, non esiste una canzone o spot che non abbia l’uso ritmico della parola, nella stessa musica leggera si riscontrano inserti di rap. In realtà il rap in Italia era solo “sommerso”, perché i/le ragazzi/e lo registravano nelle proprie camerette per poi diffonderlo tramite internet, si esibivano dandosi appuntamento nelle jam in tutta Italia, creando il terreno così per l’exploit attuale, in cui il sound del rap, poi mutato anche in trap, è defluito nel sound urban.

Rap come strumento educativo: evoluzione e prospettive

Il rap consiste in una sequenza di versi ed il rapper scandisce tali versi. Lo fa su una base strumentale (beat) che è stata creata molto spesso usando un campionamento di un’altra canzone oppure realizzata appositamente con strumenti musicali.

Sempre più adolescenti raccontano nelle proprie canzoni vicende significative della propria vita, anche dolorose, scoprendo un efficace canale di narrazione di sé. Infatti nelle rime dei testi possiamo rintracciare desideri, emozioni (come rabbia, paura, ecc.), oppure vengono affrontate tematiche più ampie come povertà, emarginazione, violenza, solo per citarne alcune. I ragazzi e le ragazze sono liberi/e di parlare di sé senza inibizioni, utilizzando il proprio gergo. In questo modo il testo rap diventa anche segno identitario di appartenenza alla propria crew.

Il rap, oltre a permettere la narrazione, coinvolge anche l’apprendimento, ad esempio quello legato all’acquisizione di tecniche precise. Alcune di esse sono relative alla creazione del testo: utilizzo delle rime e della metrica, strutturazione di una canzone nelle sue parti (introduzione, strofa, ritornello); altre sono connesse all’espressività vocale (uso corretto della voce e della respirazione per migliorare il flow delle rime). La parte successiva, quella legata alla registrazione di ciò che è stato scritto, porta inevitabilmente a confrontarsi con l’utilizzo di tecnologie (impiego di software di produzione musicale, corretto utilizzo dei microfoni, strumenti musicali). Grazie al rap i giovani possono condividere dei luoghi come “spazi di crescita personale e di gruppo” (ad esempio centri di aggregazione giovanile, centri sociali, piazze periferiche) in cui sperimentare, confrontarsi e migliorare le tecniche.

Proprio per gli aspetti sopra descritti, il rap può essere considerato come uno strumento educativo e può trovare applicazione in più contesti. In Italia, tra l’altro, esistono esperienze formative basate sulle diverse manifestazioni della cultura Hip Hop (come ad esempio il progetto Flash degli Operatori di strada della cooperativa sociale C.A.T. di Firenze o progetti nelle scuole promosse dall’Associazione 232). Si tratta di proposte operative che rientrano in quell’area che viene definita Hip Hop based education. 

L’educazione basata sull’Hip Hop (o HHBE) è un approccio all’insegnamento e all’apprendimento che si concentra sull’uso dell’Hip Hop, sia all’interno che al di fuori da ambienti scolastici, come dimostrano le ricerche condotte negli Stati Uniti, in Francia e nel Regno Unito. Gli insegnanti e gli/le educatori/trici utilizzano nella programmazione i testi di musica rap, utili per descrivere o spiegare il contenuto di alcune tematiche specifiche oppure per coinvolgere i giovani in argomenti che vanno dalla letteratura alle scienze. L’uso del rap è inoltre un modo per fornire un approccio culturalmente critico: come nei generi odierni della trap e del drill in cui si rintraccia l’esaltazione dei modelli a rischio, e gli/le educatori/trici, gli/le operatori/trici sociali nonché il mondo della scuola possono partire dall’analisi e dal contenuto dei testi per portare i giovani ad una riflessione più ampia. Questo approccio può rivelarsi molto utile specialmente nel confronto con i giovani delle seconde generazioni che hanno manifestato comportamenti antisociali e delinquenziali, per creare maggiore empatia e sviluppare discussioni che potrebbero portare a nuove consapevolezze e prospettive.

Il laboratorio rap all’interno degli IPM

Il rap nato nei ghetti afroamericani come forma di espressione di sé e di denuncia rispetto alle ingiustizie sociali, da ragazzi/e con storie difficili e tanta voglia di riscatto è da sempre considerato uno strumento espressivo ed educativo molto potente.

Perché allora non utilizzarlo in un contesto chiuso e totalizzante come il carcere? 

In un contesto di privazione della libertà, la musica ha invece la capacità di sconfinare, superare barriere.

In tutte le realtà minorili in cui è stato proposto, il laboratorio rap ha ricevuto una grande richiesta di partecipazione, mettendo talvolta in difficoltà l’organizzazione della turnazione interna, a dimostrazione di star andando a coprire un ruolo fondamentale nel percorso rieducativo e trattamentale del/la ragazzo/a.

Il linguaggio rap, grazie alle sue peculiarità, può essere analizzato sotto diversi punti di vista:

– narrativo: lo scrivere diventa un mezzo che può essere utilizzato sia nelle aule predisposte al laboratorio, sia durante la chiusura nelle celle, travalicando cancelli e muri, rendendo questa pratica accessibile sempre. Infatti la narrazione permette di fissare su carta pensieri, emozioni, sogni, ecc., che una volta trascritti iniziano a prendere forma per poi diventare materiale di elaborazione. Molto spesso i/le ragazzi/e attraverso la scrittura si rendono conto dei propri comportamenti. Essa diventa l’occasione di rielaborazione delle proprie esperienze, dei bisogni non espressi. Ma questa pratica è anche funzionale per la costruzione di nuovi significati, per provarsi ad immaginare in un nuovo percorso di vita tenendo conto del dato di realtà;

– educativo: in quanto il rap ha regole (come le basi della metrica, ad esempio) e fasi ben precise (come l’ascolto di basi strumentali, la scelta della base e della tematica, la scrittura del testo, la registrazione) che vengono riprodotte in laboratorio;

– personale (in termini di autostima e crescita individuale): molto spesso i/le partecipanti al laboratorio appaiono insicuri, timidi. Ma poi, già nella fase di scrittura, iniziano a scrivere copiosamente acquisendo sicurezza, per arrivare al culmine con la registrazione del testo scritto, rendendolo un prodotto fruibile. La registrazione dei testi difatti rappresenta un momento di gratificazione importante (specie in carcere, dove il peso di un’immagine di sé negativa può generare forte disagio e sentimento di non adeguatezza) che contribuisce al rafforzamento dell’autostima. 

– ludico: in quanto il processo creativo viene favorito attraverso giochi e simulazioni, le nozioni e le tecniche vengono acquisite più velocemente, venendo così a costituire strumenti che offrono spunti per una didattica alternativa, soprattutto per giovani che hanno alle spalle abbandoni scolastici precoci, oppure che servono per consolidare conoscenze linguistiche e culturali.

Anche il lavorare in gruppo è inoltre un elemento che caratterizza il laboratorio rap. Ognuno può infatti imparare dall’altro. Il saper aspettare e ascoltare, rispettando i tempi di attesa, favorisce l’attivazione di processi come quelli di cooperazione e di socializzazione. Anche cura, calma, concentrazione, continuità e perseveranza, far esercitare i/le ragazzi/e nella tolleranza alla frustrazione rientrano tra gli aspetti importanti dell’utilizzo del rap in un contesto particolare come il carcere. Il laboratorio rap, infine, può combattere gli effetti desocializzanti del carcere. La solitudine, il rimanere forzatamente lontano da casa sono sentimenti che si rintracciano nei testi rap molto spesso.

Là dove è possibile vengono realizzati anche dei progetti individualizzati per ragazzi/e sia durante la fase di dimissione che una volta usciti dal circuito penale (per esempio, offrendo la possibilità di usare una sala di registrazione), in collaborazione con le direzioni e le rispettive aree educative, per sensibilizzare la comunità locale, in un’ottica di continuità educativa tra il dentro ed il fuori.

La rete “Rap dentro”

“Rap dentro” è una rete nata nel dicembre 2020 che raccoglie le diverse realtà operanti negli istituti penali minorili presenti in Italia con l’obiettivo di promuovere e sostenere interventi volti sia all’espressione che al reinserimento sociale utilizzando l’Hip Hop, in particolare il rap, come strumento educativo. Queste diverse realtà (associazioni, cooperative, artisti individuali) si sono incontrate per la prima volta durante il Festival “Linecheck 2019”, in collaborazione con Music Innovation Hub a Milano. Ciò ha permesso ai/lle rappresentanti dei laboratori rap presenti negli IPM di confrontarsi e riflettere sulle proprie esperienze e metodologie di lavoro, decidendo così di costituire una rete nazionale che mettesse in connessione le storie, gli approcci, i valori e scoprendo un terreno comune su cui gettare le basi per un progetto a più ampia diffusione.

Il progetto a livello nazionale mira quindi a promuovere lo strumento del rap e della cultura Hip Hop per intervenire nei contesti di privazione della libertà e ad alto rischio di emarginazione, al fine di offrire spazi di espressione artistica ai/lle ragazzi/e. Le realtà della rete “Rap dentro” hanno elaborato un proprio manifesto, dove si riscontrano principi come: promuovere la poesia e la sensibilità artistica del rap come strumento di integrazione e riscatto che il diritto di espressione, riconoscere il ruolo della cultura Hip Hop nel raccontare la società attuale, combattere gli effetti desocializzanti del carcere riducendo l’impatto dell’esperienza detentiva sui percorsi di crescita, superare la detenzione come strumento rieducativo proponendo interventi efficaci, attivare processi virtuosi di restituzione alla collettività, promuovere processi orizzontali di condivisione di buone prassi cercando anche di istituire un tavolo di confronto permanente con le istituzioni ed infine aumentare i laboratori artistici sul territorio dentro e fuori gli istituti di pena.

Le realtà che hanno fondato “Rap dentro” sono: Associazione 232 APS, associazione che opera presso l’IPM “Cesare Beccaria” di Milano ma anche negli istituti penitenziari per adulti (C.C. San Vittore nella sezione giovani adulti e C.C. Monza) oltre che in comunità minorili; C.A.T. cooperativa sociale  di Firenze che conduce laboratori rap attivi dal 2007 all’interno dell’IPM “Gian Paolo Meucci” di Firenze e dal 2014 presso la Casa Circondariale “M. Gozzini” di Firenze; Francesco “Kento” Carlo, rapper da molto tempo attivo negli IPM che lavora sia come singolo professionista che nei progetti dell’associazione CCO all’interno dell’IPM “Casal del Marmo” di Roma e ha condotto laboratori rap anche presso l’IPM di Cagliari Quartucciu e l’IPM “Silvio Paternostro” di Catanzaro; Luca “Lucariello” Caiazzo, rapper attivo presso l’IPM di Airola dove coordina un presidio culturale iniziato con l’associazione CCO; Spazio Zero APS, associazione operativa dentro l’IPM “Ferrante Aporti” di Torino. A queste realtà si è aggiunto di recente Jaka Giacalone, educatore professionale oltre che cantante, che ha dato vita a un laboratorio rap presso l’IPM di Palermo.

Tutto ciò a dimostrazione che “Rap dentro” è un network nazionale in espansione che mira proprio ad unire le differenti realtà locali per far crescere l’intero progetto.  
Per approfondimenti e contatti si può consultare il sito https://rapdentro.org/.