Al 31 dicembre 2023, erano 14.245 i ragazzi e le ragazze in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni. Di questi, la stragrande maggior parte (62,7%) sono minori per i quali si è conclusa l’esecuzione di una misura o è stata già evasa una richiesta dell’Autorità Giudiziaria, che sono però in attesa di un’udienza. Seguono i ragazzi e le ragazze in messa alla prova (18,8%) e i giovani in carico solo per indagini e progetti (9,5%). Con percentuali molto inferiori, vi sono i minori e i giovani adulti detenuti all’interno di un IPM (3,3%), quelli con una misura penale – cautelare, alternativa alla detenzione, di sicurezza o sostitutiva – (2,9%) e quelli ospitati in una comunità per misure diverse dalle precedenti (2,8%). Infine, solo due ragazzi in carico agli Ussm erano ospitati in Centri di prima accoglienza a fine anno.

I principi di minima offensività e di residualità della detenzione guidano l’intero impianto penale minorile. Guardando ai giovani per i quali è stata disposto un provvedimenti da parte dell’Autorità Giudiziaria, emerge come il ricorso a misure detentive sia applicato in minima parte rispetto ai destinatari di misure, sanzioni e progetti da svolgere all’interno della comunità. Rientrano in questa categoria i ragazzi e le ragazze destinatari di una misura penale (cautelare, alternativa alla detenzione, di sicurezza o sostitutiva) e coloro a cui invece è stato sospeso il procedimento penale per svolgere un programma di messa alla prova.
Sono questi i giovani per i quali le Autorità giudiziarie hanno scelto percorsi all’interno della società, la maggior parte dei quali consentono la permanenza del minore presso il proprio domicilio. Complessivamente, solo il 16% dei minori in area penale esterna svolge una misura penale o un programma di messa alla prova all’interno di una comunità. Si cerca in questo modo di non spezzare i legami con il contesto sociale circostante, in applicazione dei principi cardine del processo minorile, incentrato nell’individuazione di percorsi che garantiscano il primario interesse educativo del minore ed evitino il più possibile il rischio di marginalizzazione.

Messa alla prova

Osservando i dati di flusso dell’intero 2023, ossia tutti i ragazzi e le ragazze seguiti dagli USSM durante l’anno compresi quelli presi in carico in anni precedenti, è possibile scorporare le informazioni relative all’area penale esterna in base alla natura dei provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria. Tra questi, la stragrande maggioranza è costituita da programmi di messa alla prova: 6.592 seguiti nel corso dell’anno. L’istituto della messa alla prova, previsto all’art. 28 D.P.R. 448/88, implica la sospensione del procedimento penale e l’affidamento del minore ai Servizi della Giustizia Minorile per lo svolgimento di un progetto educativo. I contenuti del progetto sono variabili, solitamente relativi a obblighi scolastici, lavorativi, attività sociali, volontariato e azioni di giustizia riparativa. Se svolta correttamente, al termine della messa alla prova il reato è considerato estinto, con nessuna conseguenza penale per il minore. Delle 6.592 messe alla prova seguite dagli USSM nel 2023, il 94% aveva come destinatario un ragazzo e il 6% una ragazza. La percentuale complessiva di ragazzi e ragazze di origine straniera era pari al 20%. Paragonando questo dato con quello delle presenze di stranieri negli IPM, pari al 54% del totale, emerge chiaramente come, a prescindere dalla gravità del reato, per i giovani di origine straniera sia molto più difficile accedere a misure aperte come la messa alla prova rispetto a soluzioni più afflittive come la detenzione. Il sistema dimostra così di non essere in grado di garantire proprio coloro che avrebbero bisogno di maggiori garanzie, essendo privi di risorse e reti sociali.
L’andamento dei provvedimenti di messa alla prova emessi dall’Autorità Giudiziaria minorile dimostra come l’Istituto abbia registrato un aumento esponenziale negli utlimi trent’anni. L’ultimo dato disponibile si riferisce al 2022, quando i provvedimenti registrati sono stati 4.553, in lieve diminuzione (-1,7%) rispetto all’anno precedente. Nei tre decenni in esame, si osserva in generale un progressivo aumento dei provvedimenti, con poche flessioni negative, la più evidente registrata nel 2020, anno in cui, a causa della situazione pandemica, alcuni Tribunali per i minorenni hanno rinviato le udienze di concessione della messa alla prova.

Guardando ai percorsi di messa alla prova svolti nel 2022, è possibile analizzare alcuni elementi specifici in relazione sia all’applicazione che ai contenuti dell’Istituto. Per quanto riguarda i reati dei minori destinatari dei provvedimenti, i più frequenti sono le lesioni personali volontarie e le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti, seguiti dai reati di furto e rapina. Per quanto riguarda invece gli Enti che hanno collaborato ai percorsi di messa alla prova accogliendo minori ad esempio per attività sociali e di volontariato, la maggior parte è costituita dal mondo del privato sociale, seguito da Comuni, Asl e Scuole. Infine, con riferimento alla durata, i percorsi di messa alla prova hanno avuto la durata media di circa nove mesi. Il comma 1 dell’art.28 D.P.R.448/88 prevede che la messa alla prova possa superare l’anno, fino ad un massimo di tre anni, per i reati per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni. Nel 2022 i casi in cui la durata della prova ha superato l’anno sono stati 357 pari al 7,8% circa del totale; in 11 casi è stato disposto il periodo massimo di trentasei mesi.

Terminato il periodo di messa alla prova, se la valutazione sull’andamento del percorso è positiva, il giudice emette una sentenza di estinzione del reato. In caso di esito negativo, il processo prosegue come se non fosse mai stato sospeso. Nel 2022, la percentuale di esiti positivi era pari all’85%, in linea con gli ultimi vent’anni passati. L’elevato successo registrato nel tempo dimostra come, nella maggior parte dei casi, i giovani che ricevono fiducia e supporto tramite percorsi strutturati siano poi in grado di restituire questa fiducia, superando con successo la prova a cui sono sottoposti. Al contrario, percorsi caratterizzati dalla mera segregazione e marginalizzazione rischiano di spezzare la fiducia del minore, sia nei confronti delle istituzioni che del futuro che lo aspetta.

Misure cautelari, misure alternative alla detenzione e misure di sicurezza

Con numeri nettamente inferiori alla messa alla prova, la restante parte dei provvedimenti non detentivi emesse dall’Autorità giudiziaria è costituita da diverse tipologie di misure penali. In ordine di rilevanza numerica, nei dati di flusso del 2023 per prime si collocano le misure cautelari non detentive delle prescrizioni e della permanenza in casa, con 661 ragazzi e ragazze. Seguono le misure penali di comunità, con 590. Trattasi nello specifico delle tre misure alternative dell’affidamento in prova ai servizi sociali, della detenzione domiciliare e della semilibertà. Sia tra i beneficiari di misure cautelari non detentive che di misure alternative, la percentuale di giovani di origine straniera era pari al 28%. Come per la messa alla prova, anche qui si nota la significativa differenza rispetto alla percentuale di stranieri detenuti in IPM (54%). Vi sono, infine, 108 ragazzi (89 italiani, 19 stranieri) destinatari di una misure di sicurezza, prevista per i minori non imputabili nelle forme della libertà vigilata o del collocamento in comunità.

Sanzioni e pene sostitutive

Chiudono i provvedimenti dell’area penale esterna le sanzioni e le pene sostitutive. Le prime prevedevano la possibilità per il giudice di cognizione, quando riteneva di dover applicare una pena detentiva non superiore a due anni, di sostituirla in sede di condanna con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata. Sin dalla loro introduzione nel 1981, entrambe le misure hanno avuto nel tempo una scarsa applicazione, sia nella Giustizia minorile che in quella degli adulti. Con l’intento di dar vita a strumenti più efficaci, in termini di minor ricorso al carcere e di deflazione del carico giudiziario, la cosiddetta Riforma Cartabia del processo penale (D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) ha modificato la disciplina, abrogando tali sanzioni e introducendo al loro posto le nuove pene sostitutive.
Oltre a cambiarne la denominazione, definendole formalmente “pene” al pari di quelle detentive, la riforma estende da due a quattro anni il tetto di pena massimo per potervi accedere ed elimina gli istituti della semidetenzione e della libertà controllata attingendo alla normativa in materia di misure alternative alla detenzione. Nello specifico, l’articolo 30 del D.P.R. 448/88 prevede oggi che il giudice, in sede di condanna, possa sostituire una pena detentiva non superiore a quattro anni con la semilibertà o con la detenzione domiciliare, una pena detentiva non superiore a tre anni con il lavoro di pubblica utilità e una pena detentiva entro il limite di dodici mesi con una pena pecuniaria. Ad un anno dalla loro entrata in vigore, le pene sostitutive hanno iniziato a vedere le prime applicazioni, con quattro ragazzi in carico agli Ussm nel corso del 2023. Nello stesso periodo, 20 ragazzi hanno invece svolto una sanzione sostitutiva, frutto evidentemente di una condanna emessa prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia e, quindi, della loro abrogazione.