Alla fine del 2023 le comunità residenziali presenti sul territorio nazionale ospitavano 936 minorenni o giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali, poco meno del doppio dei ragazzi presenti nelle carceri minorili.
La rete delle comunità svolge un ruolo importante nel sistema della giustizia minorile italiana. Per quanto concerne la parte della giustizia penale che qui ci interessa, le comunità consentono di applicare misure cautelari meno afflittive della custodia in carcere qualora il giudice ne ravvisi la necessità, così come consentono l’accesso a misure penali esterne che presuppongono un domicilio anche quando quest’ultimo non sia disponibile o adeguato.
Le comunità residenziali disponibili all’accoglienza di minori o giovani adulti dell’area penale sono oggi 628 (in leggero calo rispetto a due anni fa, quando nello scorso rapporto ne contavamo 637). Solo tre di esse – che si trovano a Bologna, Catanzaro e Reggio Calabria – sono pubbliche, gestite dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia. Le altre 625 sono comunità private che il Ministero accredita a svolgere tale compito, inserendole in un elenco aperto consultabile sul sito ministeriale e aggiornato ogni sei mesi (fermo, mentre scriviamo, al primo aggiornamento 2023). Sono i Centri per la giustizia minorile a stipulare convenzioni con comunità, associazioni e cooperative che lavorano con i giovani e che sono riconosciute a livello regionale (art. 10, D. Lgs 272/1989). Le comunità devono presentare un’organizzazione di tipo familiare, impiegare operatori professionali di varie discipline, collaborare con le istituzioni coinvolte, usare le risorse territoriali.
Come emerso con chiarezza da una ricerca effettuata da Antigone nei mesi scorsi grazie al sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, la rete delle comunità private, che costituisce una risorsa fondamentale per il funzionamento del sistema, è tuttavia disomogenea rispetto all’offerta di attività e alla vita interna, e presenta non poche criticità. Molte di queste affondano le radici nell’elemento economico, essendo il contributo ministeriale spesso insufficiente al sostegno necessario. A funzionare meglio sono allora quelle realtà che possono contare anche sul supporto di altri soggetti finanziatori. Capita che il personale delle comunità, spesso sottopagato, non abbia la preparazione necessaria al proprio ruolo o sia soggetto a frequente abbandono e ricambio. Capita anche che le comunità non possano permettersi di poter contare su uno psicologo.
Anche il maggiore o minore collegamento con il territorio circostante, e la presenza di un territorio esterno più o meno benestante e aperto, creano una disomogeneità tra le varie offerte comunitarie. Il progetto individualizzato che il ragazzo dovrebbe seguire in comunità può, per mancanza di progettualità esterne, vedersi confinato unicamente all’interno della struttura, spesso senza coinvolgere attività significative ma piuttosto limitandosi a occupazioni ripetitive e incapaci di proiezione verso il futuro.
Di fronte alla richiesta di inserimento di un giovane, le comunità possono esaminare le caratteristiche del ragazzo, la sua storia e il suo contesto socio-famigliare al fine di rendersi disponibili o meno ad accoglierlo, in base a valutazioni di compatibilità con il benessere generale del gruppo già presente. Spesso le strutture più articolate e capaci di garantire una migliore offerta selezionano in maniera più stringente i ragazzi provenienti dall’area penale, riservando i posti piuttosto area civile. Ciò è ancora più evidente nel caso di minori stranieri non accompagnati, bisognosi di un supporto specifico. In generale – e ancor più per loro, valutati come meno radicati sul territorio e più facilmente trasferibili – la scarsità di posti può causare l’allontanamento del ragazzo dalla regione di provenienza, spesso con gravi danni e disagi materiali ed emotivi.
La dislocazione delle comunità private non è inoltre omogenea sul territorio nazionale, anche in considerazione della popolazione esterna.

Ne conta 126 la Lombardia, mentre la Campania ne ha meno della metà (57) e la Calabria ne ha 23. Ce ne sono 52 in Sicilia e 24 in Sardegna, 68 in Puglia, 39 in Piemonte, 35 in Veneto, 51 in Emilia Romagna e 35 nel Lazio. La Toscana ne ha solo 19 e tutte le altre regioni ne hanno un numero inferiore.
Dei 936 giovani in comunità alla fine del 2023, solo 23 erano alloggiati nelle tre comunità pubbliche. Quanto alla dislocazione regionale, 170 si trovavano in Lombardia, 159 in Sicilia, 138 in Campania, 82 nel Lazio, 75 in Emilia Romagna, 70 in Puglia, mentre le rimanenti regioni ne ospitavano meno di 50 ciascuna (fino allo zero della Valle d’Aosta o l’uno del Molise).

Nel corso del 2023 sono stati 1.621 i collocamenti in comunità nell’ambito penale. Nel corso del 2022 erano stati 1.677. La stragrande maggioranza di essi (complessivamente 1.288, ovvero il 79,5% nel 2023; 1.302, ovvero il 77,6%, nel 2022) è dovuta a misure cautelari. All’interno di questo contenitore vi sono anche gli ingressi da Ipm sia a seguito di un alleggerimento della misura penale che per la fine del cosiddetto “aggravamento” (sul quale torneremo a breve). Seguono a grande distanza i collocamenti in comunità nell’ambito di provvedimenti di messa alla prova (257, ovvero il 15,8% del totale degli ingressi, nel 2023 e 261, ovvero il 15,6%, nel 2022). In generale, sono queste le prime due voci dal punto di vista numerico – pur dal peso ben diverso tra loro – che spiegano il collocamento in comunità (come mostra il grafico sotto, allargando lo sguardo agli ultimi anni).

Da notare come l’applicazione delle misure di comunità, dunque alternative al carcere nella fase dell’esecuzione della pena, rimanga in questo contesto residuale. Dopo una leggera crescita percentuale dovuta probabilmente all’entrata a regime delle nuove norme sull’ordinamento penitenziario minorile contenute nel D. Lgs. 121/2018, è addirittura tornata a diminuire.
Per quanto riguarda l’aggravamento, ovvero la disposizione per la quale il ragazzo che aveva violato alcune regole nella comunità veniva mandato in carcere per un massimo di un mese, nel nostro precedente rapporto così come in altri documenti ne caldeggiavamo fortemente l’eliminazione. “È forse l’ora di cercare”, scrivevamo, “soluzioni diverse per reagire alla violazione delle regole della comunità, soluzioni che non richiedano il passaggio in carcere, sempre traumatico per il giovane, e che al tempo stesso non gravino gli Ipm di questa utenza indiretta, che in effetti è essenzialmente utenza delle comunità stesse”. Certo non immaginavamo che la soluzione fosse quella di recente introdotta dalla conversione in legge del cosiddetto Decreto Caivano, ovvero la soppressione del limite temporale di un mese. Di fronte a un problema di tipo disciplinare, il ragazzo può oggi venir mandato in carcere in via permanente fino alla fine della misura senza avere neanche una seconda opportunità. Una scelta legislativa che, insieme ad altre adottate, fa compiere un grande passo indietro al sistema.
La maggiore percentuale di delitti che hanno comportato il collocamento in comunità (50% nel 2023, 56,5% nel 2022) sono stati delitti contro il patrimonio (principalmente la rapina, seguita a distanza dal furto). Seguono i delitti contro la persona (24,1% nel 2023 e 19,9% nel 2022), in circa la metà dei casi lesioni personali volontarie. La violazione della normativa sugli stupefacenti riguardava il 12,5% del totale dei delitti per cui c’è stato ingresso in comunità nel 2023 e il 10,5% nel 2022, mentre per i maltrattamenti in famiglia le relative percentuali sono pari al 4% e 4,3% e per la violenza o la resistenza a pubblico ufficiale sono pari al 5,2% e al 4,1%. Quasi non percentualmente rilevabili l’associazione a delinquere e l’associazione di tipo mafioso.
I collocamenti in comunità hanno riguardato giovani adulti nel 21% del totale nel 2023 e nel 18,5% del totale nel corso del 2022. Se guardiamo agli ingressi nelle carceri minorili, vediamo che si è trattato di ragazzi maggiorenni nel 30,9% dei casi in entrambi i periodi. La minore incidenza dei minorenni negli ingressi in carcere rispetto alle comunità mostra come il sistema sia volto a cercare per i giovanissimi l’applicazione di misure meno contenitive.
Se facciamo lo stesso ragionamento guardando adesso alla componente dei ragazzi stranieri, scopriamo che essa rappresenta il 38,7% nel 2023 e il 38,5% nel 2022 degli ingressi in comunità, mentre rappresenta negli stessi periodi rispettivamente il 48,7% e il 51,4% degli ingressi in carcere. Per loro vale il commento opposto: il sistema fatica maggiormente a trovare percorsi alternativi alla detenzione. I ragazzi italiani, maggiormente tutelati dalle proprie reti sociali, hanno meno possibilità di andare in carcere rispetto ai ragazzi stranieri. Il sistema fatica di più a trovare percorsi alternativi – perfino in comunità, dove non si richiede un autonomo domicilio – per i ragazzi con minori reti di tipo (essenzialmente) familiare. Una criticità che andiamo denunciando da tempo e che non sembra sulla strada di trovare una risoluzione.
Sorprende invece il dato relativo alle ragazze, che costituiscono il 5,2% degli ingressi in comunità nel 2023 e il 5,4% nel 2022, mentre negli stessi periodi costituiscono rispettivamente il 5,2% e 7,2% degli ingressi in carcere. Siamo infatti abituati a una minore pressione penale sulle donne, solitamente caratterizzate da posizioni giuridiche più leggere.
Se guardiamo agli ultimi 15 anni e oltre, i collocamenti in comunità hanno avuto un andamento ondivago, diminuendo drasticamente con l’arrivo della pandemia.

Nell’anno della crisi sanitaria, il 2020, a fronte di una percentuale sostanzialmente stabile di collocamenti in comunità di ragazzi stranieri abbiamo un balzo nella loro incidenza sugli ingressi in carcere, segno di come le misure volte ad alleggerire gli istituti di pena, che hanno portato anche nel sistema minorile a una diminuzione delle presenze in carcere, abbiano funzionato di meno per la componente straniera.
Se guardiamo adesso ai dati relativi alle presenze medie giornaliere, vediamo che anche qui la percentuale di incidenza dei ragazzi stranieri è sempre superiore nelle carceri rispetto alle comunità.

È interessante notare come tendenzialmente la percentuale relativa a ragazzi stranieri sul totale sia degli ingressi in Ipm che dei collocamenti in comunità sia superiore alla percentuale di ragazzi stranieri nella presenza media giornaliera in entrambe le tipologie di strutture. I ragazzi stranieri percentualmente entrano in questi servizi residenziali della giustizia minorile penale più di quanto vi permangano. Ciò fa pensare a un maggior livello di persecuzione dei ragazzi stranieri da parte del sistema penale anche a fronte di un basso spessore criminale, che porta a imporre misure penali, in sede cautelare o di esecuzione pena, pur di breve durata o a fronte di una scarsa pericolosità sociale.