Gentile direttrice,
benvenuta nel nostro IPM! Lei è una dei cinquantasette professionisti che, vinto il concorso, saranno immessi alla guida di altrettanti penitenziari italiani. Pare sia una cosa enorme: da oltre trent’anni nel nostro Paese non accadeva un simile investimento umano e professionale. Non so se complimentarmi oppure farle le condoglianze, scusi la franchezza; presto capirà la mia ironia!
Moltissimi osservatori sottolineano il dato cronologico e il numero; evidentemente ci si aspetta da voi tanto per il sistema carcerario; mi piace pensare anche a quella certa dose di entusiasmo che vi ha spinti alla decisione di intraprendere questa avventura. È entusiasta di ciò dottoressa? Prova quel sentimento di intensa gioia che nasce dalla totale dedizione ad una causa, ad un ideale che esprimiamo col termine entusiasmo? Sono un prete, sono distante dal vostro mondo giuridico, mi permetta dunque di esprimere il mio pensiero che nasce dalla meditazione sull’esperienza di cappellano di un carcere per i minorenni. Accolga con benevolenza quello che considero un consiglio perché il suo entusiasmo non soffochi. Senza di esso è impossibile frequentare con frutto un penitenziario.
Per prima cosa si faccia un bel po’ di chilometri in sezione e conosca i ragazzi; sia quelli in uniforme, sia quelli in tuta; detenuti e poliziotti siano i primi volti incontrati; di primo acchito li confonderà, tale è la differenza di età! È necessaria questa doppia vicinanza per avere la viva sensazione di ciò che accade nel luogo da lei presieduto. Una frequentazione che le porterà via molto tempo per ascoltare: storie, richieste di aiuto, di consigli, sfoghi, paure, speranze. Si stupirà di avvertire la sconvolgente realtà di essere, spesso, il primo adulto che concede loro tempo e ascolto.
Appena insediata probabilmente faticherà a celare il disappunto per lo squallore dei luoghi: avanzi di cibo marcescente, muri macchiati, odori di trascuratezze, materassi per terra. Forse la sconvolgerò: non rinunci ad un ufficio bello; tutti se ne accorgeranno subito: e, chissà, diventerà modello per tutta la struttura. Sostituisca le impersonali luci al neon: vedrà il volto dei ragazzi non come in un obitorio ma in una casa; liberi bandiere e foto di Mattarella dalle ragnatele. Da questo piccolo gesto di decoro può partire qualcosa di incredibile.
Tutti gli operatori si aspetteranno da lei una risposta che da sola non potrà mai dare alla indecente stasi del sistema della giustizia minorile; per questo le auguro di trovare persone, professionisti che la affianchino perché non sia sola. L’intero apparato composto dal personale e dai ragazzi è come bloccato, ammalato e incapace di adempiere al suo mandato costituzionale “rieducativo”. Dopo anni di permanenza negli IPM abbiamo perduto diversi ragazzi trasferiti ai maggiorenni ben prima dei canonici 25 anni; è brutale a dirsi ma nel nostro ambiente sappiamo benissimo che trasferirli lì equivale a vanificare anni di relazione educativa. Quotidianamente questo accade. Sono tutti ineccepibili questi trasferimenti dettati da ragioni disciplinari? È davvero solo responsabilità del ragazzo che ha agito in maniera tale da essere trasferito? Rimangono perplessità poderose. Chi ha responsabilità politiche e di governo ha compiuto scelte che hanno ridefinito i nostri istituti da “rieducativi” a “contenitivi”; il risultato è averli resi luoghi di frustrazioni totali; è arrivato il momento di denunciarlo: per quanto tempo è tollerabile questo? Possiamo realmente proseguire così ignorando la catastrofe imminente?
Come le dicevo le auguro di non trovarsi mai nelle condizioni di essere sola perché avrà bisogno di una squadra intelligente e ardimentosa: il lavoro da fare è complesso. C’è da lavorare in tre direzioni: la città, la formazione e il volontariato.

  • Un IPM dovrebbe essere un “dono” per una città; le dà l’occasione di coinvolgere i cittadini nel dare una mano a ragazzi oggettivamente meno fortunati. Un istituto aperto dove permettere l’incontro tra giovani liberi e ristretti; permettere a questi di accedere a esperienze fortemente educative e motivanti. Non è un mistero che i detenuti provengano in massima parte dalle zone economicamente, socialmente e culturalmente più depresse della città. 
  • La scuola e il mondo delle imprese non possono sentirsi la coscienza a posto per aver attivato un paio di corsi di formazione o una sezione didattica. I ragazzi detenuti negli IPM non sono la triste marea del carcere ordinario; lo sa meglio di me: si tratta di una popolazione di alcune centinaia di persone, quindi il sistema delle imprese, attivato dalla Regioni, può fare di più perché ai ragazzi sia consegnata una vera possibilità di lavoro, una istruzione chiara e, una volta scarcerati, una realtà alloggiativa congrua in cui ripartire. 
  • L’esperienza dice che attorno agli IPM c’è solidarietà e attenzione di tanti; un dato che incoraggia; le chiedo di non scoraggiare il desiderio di poter aiutare il cammino dei ragazzi anche solo con la semplice animazione dei tanti periodi di noia e tedio che sono solo prodromi a problemi maggiori. Ai ragazzi fa bene avere accanto a sé figure “gratuite” che dimostrino loro l’esistenza di un mondo “altro” spesso sconosciuto loro: quello della volontà di bene disinteressato. E non ultimo è una risorsa gratuita! 

In conclusione: il suo entusiasmo dunque parta dal suo ufficio; nonostante io sia un prete non mi interessa che ci sia o no il crocifisso ma una immagine gliela consiglio: accanto a quella di ordinanza del Presidente della Repubblica aggiunga quella di Marouane Fakhri, uno delle vittime della mattanza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, l’ennesimo crocifisso della storia, testimone di una passione mortale che ci indigna. Solo direttori appassionati non permetteranno che si replichino vergogne come quella di Marouane.
Carissima Direttrice, buon lavoro: da subito rinunci alla carriera e sarà libera di essere significativa; non si contenti di sopravvivere ma faccia vivere! Giovani vite le saranno grate. Se lo meritano.

don Domenico Cambareri