I principi ispiratori del processo penale minorile

Il processo penale a carico di imputati minorenni, come sappiamo, è disciplinato dal D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e si ispira ad alcuni principi fondamentali, richiamati anche nelle convenzioni internazionali in materia: la Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo del 1989, le “Regole di Pechino” (Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile, del 1985) e le “Regole de L’Havana” (Regole per la protezione dei giovani privati della libertà, del 1990).

Tutto il sistema si ispira alla c.d. “finalizzazione educativa”, per cui il processo non deve interferire sulla continuità educativa, ma tendere alla responsabilizzazione del minore e alla riduzione dell’impatto costrittivo e afflittivo. Tra questi principi, che mirano tutti a rendere compatibile la giustizia minorile con la tutela della personalità del minore ancora in via di formazione, ci sono: il principio di adeguatezza, il principio di minima offensività, il principio, ad esso connesso, di de-stigmatizzazione, il principio di residualità della detenzione. Infine, secondo il principio di indisponibilità del rito e dell’esito del processo, il giudice può disporre la traduzione coattiva dell’imputato non comparso (art. 31 D.P.R. 448/1988) e, a differenza del procedimento degli adulti, è vietato il patteggiamento della pena.

L’ammissibilità dei procedimenti speciali

Infatti, nell’ambito del processo minorile hanno spazio solo alcuni dei riti alternativi a quello ordinario previsti per il processo penale a carico degli adulti dal codice di procedura penale. In particolare, non sono previsti gli istituti dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e il procedimento per decreto (art. 25. D.P.R. 448/1988).

Per quanto riguarda il procedimento per decreto nel processo minorile, si è ritenuto che questo rito alternativo, limitandosi all’irrogazione di una sanzione pecuniaria sulla base della commissione del reato e della richiesta formulata dal pubblico ministero, non consenta il contatto tra il minore e gli organi giudiziari che, pertanto, non avrebbero occasione né di comprendere la situazione individuale, né di valutarne la personalità. Inoltre, non avendo il minore una sua autonomia patrimoniale, la sanzione pecuniaria non avrebbe alcun effetto educativo nei suoi confronti.

Il motivo dell’esclusione del patteggiamento risiederebbe, invece, nella considerazione che il minore non è ritenuto sufficientemente maturo per disporre dell’esito del processo e, quindi, per esprimere il proprio consenso all’irrogazione della pena.

Su questa questione ha avuto modo di pronunciarsi, in più occasioni, la Corte Costituzionale. In particolare, con la fondamentale sentenza n. 272 del 12 luglio 2000, la Corte ha osservato che la scelta del legislatore di escludere espressamente tale istituto (e il decreto penale di condanna) dalle varie forme di definizione anticipata del procedimento previste dal D.P.R. 448 del 1988 corrisponde ad un bilanciamento tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero consigliato di ammettere forme di “patteggiamento” anche nel procedimento a carico di imputati minorenni, e le peculiarità del modello di giustizia minorile adottato dall’ordinamento italiano, «sorretto dalla prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua personalità, nonché da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi». Motivo per cui l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti non può essere posto sullo stesso piano delle misure di favore specificamente previste nel procedimento penale a carico di imputati minorenni.

Il giudizio abbreviato

Quindi i riti alternativi nel processo minorile possono assumere la forma del giudizio abbreviato, del giudizio immediato e del giudizio direttissimo. Il giudizio direttissimo è percorribile solo se è possibile effettuare gli accertamenti sulla personalità del minore (ex art. 9 del D.P.R. n. 448/1988) e garantirne l’assistenza affettiva e psicologica (ex art. 12 del D.P.R. 448/1988). Inoltre il pubblico ministero non può procedere al giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore.

Quanto all’abbreviato, in applicazione degli artt. 438-443 c.p.p., esso può essere richiesto dal minore al fine di concludere il processo nel corso dell’udienza preliminare con decisione allo stato degli atti, cioè attraverso l’utilizzazione di tutti gli atti di indagine. La richiesta deve essere formulata, nell’udienza preliminare, personalmente dal minore o per mezzo di procuratore speciale. Su di essa, acquisito il parere non vincolante del pubblico ministero, il giudice provvede con ordinanza.

Anche se si procede con il giudizio abbreviato, non possono omettersi le indagini sulla personalità del minore da parte del giudice, che possono compiersi in ogni momento e non possono condizionare la decidibilità allo stato degli atti, fermo restando che il giudice ha il potere di assumere, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione.

Il giudizio abbreviato nel processo minorile si svolge sempre davanti a un giudice collegiale e può concludersi con sentenza di assoluzione o di condanna con le formule proprie del dibattimento (anche con la sostituzione della pena detentiva), oppure con sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto e a norma dell’art. 425 c.p.p. In caso di condanna, la pena sarà ridotta di un terzo. Per quanto riguarda le impugnazioni, i limiti all’appellabilità sia da parte dell’imputato, sia da parte del pubblico ministero, sono quelli previsti dal codice di procedura penale.

La giurisprudenza di costituzionalità sul giudizio abbreviato nel processo penale minorile

Nei primi anni di vigenza del D.P.R. 448/1988, l’art. 28, comma 4, impediva al giudice di adottare il provvedimento di sospensione del processo e di messa alla prova qualora l’imputato minorenne avesse formulato richiesta di giudizio abbreviato. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 1995 tale norma è stata dichiarata illegittima: dunque, il giudizio abbreviato non è più incompatibile con la sospensione e la messa alla prova. La Corte, infatti, ha rilevato che una tale previsione, in primo luogo, sarebbe apparsa viziata da irragionevolezza, in quanto non si comprende per quale motivo al minore, che sia stato ammesso al giudizio abbreviato, debba poi essere negato di chiedere la messa alla prova, con il connesso eventuale beneficio della sentenza dichiarativa della estinzione del reato. Inoltre, la norma avrebbe impedito, senza ragionevoli motivi, di dare ingresso ad una misura particolarmente significativa sotto l’aspetto rieducativo ed avente riflessi sostanziali di natura premiale.

Un’altra e più recente pronuncia della Corte Costituzionale si è occupata della questione di legittimità dell’art. 458 c.p.p. e dell’art. 1, comma 1, del D.P.R. 448/1988, nella parte in cui prevedono che, nel processo minorile, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la composizione dell’organo giudicante sia quella monocratica del giudice per le indagini preliminari e non quella collegiale (sent. n. 1 del 2015). Poiché il giudizio abbreviato minorile è sostitutivo sia dell’udienza preliminare, sia del dibattimento, i suoi esiti possono essere i più diversi e tutti richiedono la valutazione del giudice collegiale e degli esperti che lo compongono, al fine di garantire decisioni attente alla personalità del minore e alle sue esigenze formative ed educative. È, dunque, secondo la Corte, «manifestamente incongruo, anche con riguardo ai valori costituzionali sottesi alla tutela del minore, che sia il giudice monocratico delle indagini preliminari a celebrare il giudizio abbreviato, che di regola è svolto dal giudice collegiale dell’udienza preliminare. Poiché la funzione del primo è uguale a quella svolta dal secondo, la diversa composizione dell’organo giudicante è priva di ragioni che possano giustificare il sacrificio dell’interesse del minore, non potendosi far dipendere la diversità di composizione da mere evenienze processuali».

Il possibile impatto delle ultime riforme sulla giustizia

Nel 2016 è intervenuta la Direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali. Essa prevede il rafforzamento di un ampio ventaglio di diritti del minore, tra i quali il diritto di partecipare al procedimento penale con modalità tali da proteggerne la riservatezza e con forme di documentazione audiovisiva delle sue dichiarazioni e la necessità di una formazione specializzata dei magistrati, degli avvocati e di tutti gli operatori della giustizia penale minorile. Tale direttiva, tuttavia, non sembra avere un impatto diretto in materia di riti alternativi nel processo penale minorile.

Con la l. 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), arriva ufficialmente in porto la c.d. “riforma Cartabia” del processo e del sistema sanzionatorio penale. L’art. 1, comma 10, si occupa, in particolare, dei procedimenti speciali, mirando a incentivarne il ricorso in funzione deflattiva, al fine di ridurre il numero dei procedimenti celebrati con rito ordinario. Ci sono alcune interessanti novità in tema di patteggiamento, di giudizio abbreviato, di giudizio immediato e di procedimento per decreto. Tuttavia, anche in questo caso, non sembrano esserci delle significative innovazioni riguardo al processo penale per i minori.

Tale materia, invece, sembra essere incisa maggiormente dalla più recente riforma del processo civile. La delega, infatti, pur non intaccando la disciplina dei riti alternativi nel processo penale minorile, prevede l’istituzione del Tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, composto dalla sezione distrettuale, costituita presso ciascuna sede di Corte di appello o di sezione di Corte di appello, e da sezioni circondariali costituite presso ogni sede di Tribunale ordinario.

Le competenze civili, penali e di sorveglianza del Tribunale per i minorenni saranno trasferite alle sezioni distrettuali del Tribunale unico (ad eccezione di alcune competenze civili che saranno trasferite alle sezioni circondariali). Nelle materie del penale minorile, la sezione distrettuale del Tribunale unico sarà competente per tutti i procedimenti già attribuiti alla competenza del Tribunale per i minorenni e giudicherà in composizione monocratica o collegiale secondo le disposizioni vigenti che disciplinano la materia.

Mentre la presenza dei giudici onorari a comporre il collegio verrà mantenuta solo nell’organo distrettuale quanto ai processi penali, alle procedure di adottabilità e alle questioni relative alla valutazione delle coppie per l’adozione, non sembra, invece, che saranno presenti giudici onorari presso la Corte d’appello che dovrà giudicare delle impugnazioni avverso le decisioni, penali e di adottabilità, assunte dai tribunali distrettuali. Alcuni osservatori hanno giustamente segnalato i rischi, in relazione alla effettiva tutela del minorenne, che potrebbero derivare dalla perdita della collegialità e della componente onoraria in procedure così delicate, così come dall’assenza di collegamento e di comunicazione fra chi tratta le procedure in sede circondariale e chi deve occuparsi, in sede distrettuale, di processi penali nei confronti di minorenni che vanno anche protetti da famiglie inadeguate.