L’osservazione diretta di luoghi chiusi costituisce una forma di conoscenza straordinaria che assolve a finalità molteplici e concorrenti. Costituisce da un lato un’indagine analitica indispensabile per descrivere il rapporto tra legge e prassi, nonché le differenze tra carcere raccontato nelle norme e carcere osservato nella realtà di tutti i giorni. Favorisce dall’altro lato la comprensione di fenomeni e istituzioni complesse quali sono i luoghi che limitano o negano la libertà di movimento. Nessun racconto della vita carceraria, tanto più se si tratta di ragazzi e ragazze detenute, avrebbe un impatto conoscitivo, empirico o una significativa e credibile valenza sociale e politica se non fosse l’esito di visite effettuate di persona, con il proprio carico esperenziale, emotivo, culturale. 

L’osservazione diretta (…) permette di percepire un’atmosfera

L’osservazione diretta consente di andare oltre ciò che la legge prescrive, permette di percepire un’atmosfera, l’aria che si respira in un dato luogo. Guardando negli occhi detenuti e staff si possono capire molte cose. Osservando gli spazi, le celle, gli impianti sportivi si può intuire come si snoda la vita di tutti i giorni. Il silenzio assordante o il rumore gioioso indicano la qualità della vita in un istituto per minori. Quando capita di osservare, come è accaduto a Catanzaro o al Pratello di Bologna (che sembra abbia definitivamente messo alle spalle le brutte storie di violenza avvenute alcuni anni addietro), un clima di serenità, questo è un indice comunque positivo. Così come è positivo osservare, a Bari o a Nisida, una vita che si snoda nella quotidianità senza sguardi bassi o paure di esprimersi. 

Il sistema italiano della giustizia penale minorile è un modello su scala europea

Il sistema italiano della giustizia penale minorile è un modello su scala europea e come tale deve resistere a tentazioni passatiste. Affinché ciò accada è necessario guardare avanti e non affidarsi solo a pratiche resistenziali. Per questo deve puntare sempre più a non assomigliare ai classici modelli penitenziari degli adulti. Gli istituti penali per minori devono viceversa sempre più somigliare, esteticamente e nelle modalità gestionali, a comunità libere, alle migliori forme comunitarie di vita non reclusa. Quando accade, così come ci è stato riferito ad Acireale, che da anni gruppi locali scout organizzano in istituto momenti di socializzazione, partite di calcio, giochi in comune, si mette in moto un circolo virtuoso formativo, contro i pregiudizi culturali che ci attanagliano, ma anche a favore di una trasmissione per via diretta ed esperienziale di modelli fisiologici di crescita sociale. 

Certo, dall’altra parte non aiuta il disimpegno delle più tradizionali agenzie educative istituzionali. La formazione professionale regionale in molti casi latita, così come l’istruzione secondaria superiore. In carcere ci sono ragazzi in età universitaria ma l’Università è fuori del tutto dall’offerta formativa. Tutto ciò significa che non si investe con determinazione nella crescita scolastica. Seppur vero che una parte dei detenuti permane, come a Torino, in media circa due mesi in istituto, se anche è vero che molti ragazzi sono stranieri o scarsamente scolarizzati, il fatto che non vi siano (o se vi sono costituiscono una rarità che non emerge durante le visite) detenuti giovani iscritti alle Università è da leggersi comunque come un problema da risolvere, come un’occasione mancata.  Ugualmente lo sport meriterebbe una svolta di tipo agonistico. È spesso trattato come intrattenimento. Merita una menzione positiva il progetto ‘Vela legale’ che si è svolto nell’Ipm di Catanzaro. La vela è un esercizio straordinario di responsabilità ed organizzazione dei propri tempi. La vela porta con sé il rapporto con il mare, che non ha confini visibili. Esso è un esercizio di gestione della propria libertà.

Negli Ipm italiani abbiamo incontrato tanti direttori, educatori, mediatori culturali, assistenti sociali, poliziotti che ci mettono l’anima. E che, anche di fronte a difficoltà, inevitabili quando si ha a che fare con ragazzi e giovani adulti, non meritano una rappresentazione vittimaria. A seguito di fatti violenti commessi da detenuti minorenni, così come pare sia avvenuto ad Airola agli inizi di febbraio del 2020, va trovata una chiave educativa per trasformare, come ci suggerisce il rapper Anastasio, la rabbia giovanile in forza di trasformazione di se stessi e degli altri. Questa è la vera sfida pedagogica. È troppo facile limitarsi a trattare punitivamente i ragazzi chiudendo gli spazi e lasciandoli marcire in galera. Fortunatamente, e di questo siamo grati a chi gestisce l’esecuzione penale minorile, la risposta istituzionale ministeriale non ha teso, sinora, ad assecondare tendenze securitarie che provengono da talune organizzazioni sindacali autonome. 

L’osservazione diretta ci consente di fare domande in giro per gli istituti su come si svolge la vita comunitaria. Ben venga dunque ogni incentivo alla socializzazione, così come quando a Roma si consente la consumazione dei pasti nel refettorio. Durante le visite capita anche di ascoltare risposte autoassolutorie. Sempre a Casal del Marmo a Roma, il diritto alle visite prolungate in apposite unità abitative non viene assicurato perché l’Istituto, si dice, è privo di spazi da adibire a tale utilizzo. La legge è inequivocabile e la sua mancata esecuzione non può dipendere da contingenze negative amministrative o edilizie, la cui soluzione deve avvenire in tempi rapidi.

I casi difficili vanno gestiti evitando continui spostamenti che mettono a repentaglio il progetto educativo

Infine, l’osservazione diretta consente si ascoltare le lingue parlate, i dialetti, gli accenti. E purtroppo va detto che il principio di territorialità della pena, ribadito nella recente riforma del 2018, fa fatica a essere attuato, anche a causa dell’impatto, come verificato nel carcere Ferrante Aporti di Torino, dei cosiddetti “sfollamenti”, cioè di trasferimenti “coatti”, decisi dall’amministrazione penitenziaria per ragioni che a volte sono di mero carattere organizzativo, altre di natura pseudo-disciplinare. I casi difficili vanno gestiti evitando continui spostamenti che mettono a repentaglio il progetto educativo.In conclusione, l’osservazione diretta conferma come la risposta e l’esecuzione penale nei confronti di ragazzi e ragazze in Italia andrebbe raccontata, anche al di fuori dei confini tradizionali, come una buona prassi che deve tendere, senza paure, alla propria dissoluzione, nel senso che deve divenire sempre e ancora di più una risposta residuale, per piccoli numeri da trattare con cura e dedizione. Quella cura e dedizione che abbiamo visto negli occhi e nelle mani di molti operatori della nostra giustizia minorile.




Febbraio 2020